Dieci minuti di applausi. (ndr)
Gentile redazione, vorrei esprimere un pensiero in merito alla DGR che uscirà sulla formazione complementare dell’Operatore Socio Sanitario che ha visto gli OPI del Veneto direttamente coinvolti in un tavolo di riprogettazione delle competenze e rilettura dei contesti.
Sono “solo” un infermiere e potrei avere una prospettiva “limitata” nell’analizzare il contesto, ma un po’ l’età e un po’ la formazione dalla quale non mi sono mai staccato mi consentono di essere lucido ed è questa la condizione ideale per approfondire una qualsiasi questione. Certo quella lucidità che unita all’imparzialità permettono di cogliere l’essenza dei ragionamenti fuori da ogni logica di potere e da ogni sterile egocentrismo.
Sono profondamente rattristato dal fatto che in prima battuta siano state le associazioni di categoria (UNABA/URIPA) a proporre una soluzione alla carenza di personale che prevedesse la promozione di una figura tecnica che sopperisse alla carenza di infermieri.
È chiaro che, mancando il presupposto intellettuale che non considerava le responsabilità in gioco e la tutela dell’infermiere, dell’OSS e del cittadino, gli OPI provinciale veneti e la FNOPI siano entrati nel merito contestando una serie di elementi che poi, di fatto, hanno bloccato una proposta che, per come era stata formulata, sarebbe stata “disastrosa”.
La lezione della Federazione Nazionale Ordini Professioni Infermieristiche e degli Ordini Professioni Infermieristiche provinciali, a mio parere, è stata, in primo piano di metodo e poi (certamente non meno importante) di contenuto.
È chiaro, infatti, che questa revisione e ampliamento delle opzioni di attribuzione da parte dell’Infermiere all’OSS, non può essere una risposta alla carenza di personale, ma piuttosto una trasformazione del sistema che sancisce e conferma l’evoluzione dei modelli di cura per la gestione dell’impatto della cronicità sulla vita degli individui.
L’epoca in cui abbiamo iniziato a ragionare in termini di intensità di cura e di continuità assistenziale rappresenta una cornice all’interno della quale la professione infermieristica avrebbe già dovuto ritagliarsi un ruolo da protagonista smarcandosi dal saper fare attraverso il consolidamento della competenza del saper far fare (la dove possibile e previsto).
Credo che la banalizzazione di questi argomenti abbia fortemente rallentato il processo di crescita e gettato le basi per una disaffezione verso la professione oltre che un crollo dell’appeal e dell’indice di attrazione da parte delle nuove generazioni alle quali dobbiamo consegnare (finalmente) qualcosa che molti di noi non hanno avuto.
Questa tardiva opportunità che nasce da un atto di coraggio nel tutelare trasformazioni selvagge sono convinto che concretamente possa spingere la professione infermieristica verso nuovi scenari operativi in cui si deve riposizionare con pragmatismo e indiscutibile competenza.
Per fare solo un esempio diventa chiaro che un’organizzazione in cui operano OSS e Infermieri che lavorano insieme e in cui si acquisisce nuove conoscenze e abilità deve modificare i propri meccanismi operativi e favorire la circolazione di idee attraverso la generazione di atmosfere salubri in cui ruoli, funzioni e conseguenti responsabilità siano chiare e finalizzate alla protezione della persona, al suo benessere e alla sua crescita.
Non possiamo credere che l’implementazione dei contenuti della delibera sortisca come unico effetto la riduzione del fabbisogno di personale… sarebbe un suicidio dal punto di vista strategico. A questo proposito trovo estremamente utile la figura chiave dell’infermiere che promuove e sostiene un change management (non una supervisione, termine equivoco che in passato ha già creato numerosi problemi dal punto di vista interpretativo) basato sulla riprogettazione delle job descriptions e su modelli di responsabilità che esaltino l’intellettualità del professionista infermiere, promuovano e massimizzino la potenzialità dell’operatore sociosanitario e assicurino ai nostri assistiti il miglior servizio possibile (servizi in cui la presenza del medico, talvolta, diventa marginale e accessoria).
Concordo con chi sostiene che questa Delibera sia patrimonio di tutti i setting, sanitari e sociosanitari.
E’ evidente, infatti, che staccandosi dai presupposti con cui era nata in modo perverso la proposta (al di là di ogni ineluttabile carenza), anche negli ospedali si potranno pensare scenari operativi in cui non saremo legati alla presenza dell’infermiere SOLO per fare una puntura.
Un ultimo pensiero lo voglio dedicare ai colleghi (e a qualche OPI, aggiungiamo noi) che non hanno capito l’importanza epocale di questo provvedimento, non lo vogliono capire oppure che, schiavi di logiche di potere, contestano la questione secondo i banali schemi della demagogia: per parlare di infermiere, non sempre si deve usare la parola infermiere.
Disponibile ad approfondire ulteriormente la questione colgo l’occasione per fare i miei complimenti augurando buon lavoro.
Grazie per avermi letto.
CPS Infermiere B.F., Treviso